Bibblioteca

Le origini della biblioteca e pinacoteca vanno attribuite ad una Associazione Artistica-Culturale alla quale fu dato nome “ Sestium”, in ricordo del vecchio nome del nostro paese. A detta di Don Achille Walter Alfonsi, le premesse per la nascita dell’associazione vanno fatte risalire all’agosto del 1950,alla vigilia di S.Leone, quando un gruppo di appassionati amici fondò <>, una sorta di circolo culturale fatto di giovani sostenitori di comuni tendenze ideologiche volte a incarnarsi in obiettivi significativi per l’intera comunità saracenara. Nella sua relazione contenuta nell’opuscolo “L’eredità dell’Associazione Culturale SESTIUM”, il prof. Pietro Napoletano individua la fondazione della “SESTIUM” nell’agosto 1952 , della stessa ci resta una testimonianza apprezzabile di ben 70 quadri tra i più autorevoli artisti coevi, quali Guttuso, Purificato, Omiccioli, Andrea Alfano ed altri, e cinque sculture notevoli. L’Associazione Artistica-Culturale nominata “ Sestium”si poneva quale intermediaria per un incontro più intimo tra i cittadini dello stesso paese, e tendeva essenzialmente alla realizzazione di una biblioteca e pinacoteca, nonché<< alla formazione di una filodrammatica e alla promozione di tutte quelle attività atte a incrementare la cultura tra la cittadinanza e tra la classe studentesca>>. D’altra parte si può dire che nel nostro paese non sono mancati fermenti culturali; basta ricordare il dott. Vincenzo Forestieri, autore della celebre monografia su Saracena, a cui giustamente è stata intitolata la biblioteca. L’intitolazione della nostra biblioteca a questo protagonista delle vicende culturali di Saracena ci induce ad abbozzare quantomeno una breve nota biografica su tale prestigioso personaggio. Nato nel 1822, spentosi all’età di 57 anni, nel 1879, a questi si attribuiscono molte opere incompiute e inedite, egli va ricordato soprattutto per la composizione della << Monografia Storica di Saracena>>, edita a Roma nel 1913, nonché ad egli si attribuisce un altro riguardevole manoscritto, ove indugia, con attenzione da storico sulle vicende dei conventi di Saracena, e, particolarmente, su quello dei Cappuccini . E, compiendo un ipotetico salto ideale, che ci avvicini ai nostri giorni, ci pare opportuno citare lo scienziato e poeta prof. Don Vincenzo Fioravanti; tale illustre personaggio ebbe i suoi natali il 6 dicembre 1876 e si spense il 28 ottobre 1958, fu anche botanico di fama internazionale e autore di liriche. Ci piace ricordarlo così con le frasi che suonano piene di commozione, con cui lo evoca l’autore di una monografia sul prof. Fioravanti, Mario Alfano: << Era un uomo colto, non c’è dubbio, ma per saperne di più c’era un solo mezzo: un esame delle sue carte, ma non mi risulta che esse siano conservate, assieme ai suoi libri e alle sue riviste. Su un punto si può essere certi. Il prof. Fioravanti era un eccellente botanico, a livello scientifico. Il suo giardino era un vero e proprio orto botanico. Vi si rifugiava ogni pomeriggio, per proseguire le sue letture preferite e per sperimentare i suoi studi sulle piante e sui fiori>>. La nostra galleria biografica su questi nomi trova approdo nel giornalista, scrittore, poeta e pittore Franco Alfano, autore di diverse pubblicazioni; e prosegue con il prof. Vincenzo Russo, famoso per la pubblicazione di opere scientifiche come << Perché il cancro avanza>> e l’ultima sua realizzazione, il romanzo scientifico << Cancro sesso e società>>. L’apertura prossima della nuova sede della biblioteca e pinacoteca vuole essere una testimonianza visibile di un’attenzione della nostra Amministrazione verso la consolidazione di un centro di irradiazione di fermenti culturali, che si identifichi nel simbolo manifestante di tali slanci vitalistici, che è il palazzo scelto quale nuova e rinata forma di gestione e di conservazione di tutto il patrimonio librario e, in genere, artistico, che può vantare il nostro piccolo paese. Un ipotetico bibliofilo che desse un ampio sguardo alla sala bibliotecaria potrebbe apprezzare non solo l’utilità di opere consultabili per fini concorsuali e non solo, ma allo stesso tempo rinverrebbe oltre a testi letterari, volumi enciclopedici, opere di autori locali, utili libri-guida sulla storia e la cultura del nostro territorio, anche preziose pubblicazioni risalenti al XIX secolo, quali : taluni scritti dello scrittore calabrese nato ad Acri, Vincenzo Padula, conosciuto anche quale storico delle tradizioni popolari, citato anche nel libro “La Cultura subalterna in Calabria”del Prof. O.Cavalcanti; otto volumi attribuiti a Domenico Antonio Galdi di un “ Commentario del Codice di Procedura Civile”, quattro volumi dell’opera “Diritto Commerciale” di Ercole Vidari, un manuale linguistico del 1893 di Giuseppe Francini, una grammatica francese del 1853 di Giuseppe Moneta, le “ Lettere sul Protestantesimo”di Padre Gesualdo da Cardinale. Sempre tornando al nostro appassionato bibliofilo, egli , uscendo da questa varietà di produzioni culturali, sporgendosi nuovamente alla vista del sole, può ritenersi entusiasta di questa sua passeggiata nel mondo del libro. A tal punto, la nostra argomentazione non può esimersi dal citare una minima parte dei quadri e delle sculture contenute nella pinacoteca. Accanto alle opere dei pittori locali Andrea Alfano e Mimmo Sancineto, si può annoverare un olio su tela 30x 40 di Tato, una cera di Emilio Greco, un disegno 35x50 di Renato Guttuso, un olio su tela di Lello Mario Barresi, e un’opera del celebre pittore e incisore olandese Rembrandt. Tale succinta rassegna sui principali artisti presenti nella sala in esposizione vuole levarsi come un elogio celebrativo a coloro che hanno contribuito ad offrire all’intera cittadinanza ed a tutti gli ideali visitatori un luogo dove ritagli di espressione artistica si sono cristallizzati nel loro ‘sorgere aurorale’. A cura di Domenico Laurito

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Chiesa di S. Maria delle Armi

La Chiesa di Santa Maria delle Armi a Saracena, in Calabria, vanta origini antiche, risalenti al 1063, come testimoniato da un "Instrumento" dei Conti di Puglia. Inizialmente dipendenza dell'Abbazia di Banzi, la chiesa fu menzionata in una bolla di Papa Pasquale II nel 1103. Storia e trasformazioni: Fino al 1812, la chiesa fu parrocchia autonoma, per poi essere annessa alla parrocchia di Santa Maria del Gamio. Tra il 1885 e il 1893, subì un restauro e un ampliamento ad opera del parroco D. Alessandro Mastromarchi. Caratteristiche architettoniche e opere d'arte: L'interno è suddiviso in una navata centrale e due navate laterali più piccole. L'abside è orientata verso est. Nella navata centrale si trova un affresco del XIII secolo, di autore ignoto, raffigurante una Madonna con Bambino. All'ingresso, una scultura in pietra del XIV secolo rappresenta un giovane guerriero in preghiera. L'affresco della Madonna lactans: L'opera, datata tra il XIII e il XV secolo, raffigura la Vergine Maria che allatta Gesù Bambino. Maria è seduta su un trono con uno sfondo rosso carminio, decorato con motivi vegetali. La Madonna offre un fiore al Bambino. L'affresco è una testimonianza dell'arte sacra medievale in Calabria e della diffusione del tema della Madonna lactans. Contesto storico e culturale: La chiesa si trova nel Rione delle Armi, il quartiere più antico di Saracena. L'affresco è considerato uno dei tesori artistici del territorio, testimoniando la devozione e l'espressione artistica locale. Fonti: it.wikipedia.org fondoambiente.it

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Chiesa di Santa Maria del Gamio

Certo, ecco il testo senza la parola "comune": Chiusa in un intrico di vicoletti e scalinate, dove si affacciano i più antichi palazzi della nobiltà cittadina quali quelli delle famiglie Spinelli, con le sue notevoli decorazioni rinascimentali, dei Forestieri e dei Mastromarchi, si eleva l’antica Chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Maria sotto il titolo del Gamio - dal greco = nozze - riferentesi senza dubbio a quelle di Cana, che erano raffigurate anche in un dipinto, che dominava l’Altare Maggiore poi andato disperso. Come chiaramente si deduce dal titolo, la sua costruzione affonda lontano nel tempo le sue origini quando queste contrade erano abitate o, quantomeno, influenzate da Bizantini, al cui rito la Chiesa appartenne, sembra, fino al 1568, e alle cui maestranze si dovrebbero riferire quelle figure di Santi con iscrizioni in greco che, secondo antiche cronache, erano affrescati sulla facciata, distrutta nel secolo scorso quando tra il 1870 e il 1874, su disegni di un certo Giuseppe Ruffo di Catanzaro, l’edificio venne allungato nella pianta con la creazione di una nuova facciata in stile neo-palladiano. Anche il Campanile venne rifatto totalmente a partire dal 1882 e ricoperto con una cuspide decorata da mattonelle disposte a squame di pesce verdi e gialle di chiare reminiscenze campane. Si accede alla Chiesa da una delle due porte laterali decorata da antichi battenti lavorati nel 1612 da Giovanni Labollita e ci si immette subito nella navata centrale che, sebbene non ampia, mostra una certa solennità dominata come appare dal sontuoso soffitto a cassettoni lignei intagliati e iniziati ad indorare dall’artigiano Jacono Lanfusa nel 1618 e proseguiti nell’indoratura da Gio:Vincenzo de Untiis nel 1628. La decorazione pittorica con serti di fresche rose si deve invece a Genesio Galtieri di Mormanno e all’anno 1787. Sulla porta maggiore è sistemato un buon organo (purtroppo non funzionante) comprato verso il 1650 con più tarde decorazioni pittoriche affidate nel 1753 ad un non meglio conosciuto Felice Spina. La navata sinistra si apre con l’altare dell’antica confraternita di S. Leonardo, in legno intagliato, dipinto e dorato, datato 1662, che racchiude al centro una tela del Santo dipinta da Giocondo Bissanti sullo scadere del secolo scorso, in sostituzione di una più antica rappresentazione su tavola documentata in carte del ricchissimo archivio della Chiesa. La mensa di questo altare come quelle di tutti gli altri sono in marmo e si devono all’opera del sacerdote D. Alessandro Mastromarchi (1883-1893). Sulla volta in riquadri decorati da stucchi si susseguono dei dipinti raffiguranti fatti dell’Antico Testamento ( recentemente restaurati) dovuti a pittori diversi tra i quali Nicola de Qliva ed il saracenaro Francesco Viola attivi tra la seconda metà del ‘700 e i primi del secolo seguente. Nell’ordine sono raffigurati il Roveto ardente, Il serpente di bronzo, la Consegna delle Tavole, Tobia e l’Angelo. Seguono l’altare dedicato al Cuore Divino di Gesù, databile alla fine del secolo scorso, e quello di S. Stefano Protomartire, già appartenente alla famiglia Clemente prima e a quella Mazziotti dopo, con tela rappresentante il Martirio del Santo, datata nel 1794 e completamente ridipinta dal Bissanti, pittore e fotografo napoletano, al quale si commissionò alla fine dell’Ottocento e con una certa leggerezza il restauro o il rinnovo totale di quasi tutti i dipinti della Chiesa. A metà della navata si apre la Cappella di S. Innocenzo Martire con notevole altare in marmi policromi costruito nel 1772 da Marino Palmieri. Tale altare in origine ospitava la bella statua della Vergine, oggi posta sull’Altare Maggiore. Al suo posto venne collocata nel 1831 la statua lignea di S. Innocenzo, di bottega napoletana. Lo sportello del ciborio (ora nella sala del Museo) mostra dipinto un delicato Gesù Infante che risente, purtroppo, dei pesanti ritocchi del Bissanti. Interessanti sono i due confessionili che si devono all’arte dei Fusco. Oltrepassata la porta della sagrestia si incontra l’Altare della Madonna del Carmine ornata da stucchi elaborati nel 1791. Il dipinto al centro raffigura la Madonna del Carmine tra i Santi Giacomo e Carlo Borromeo, opera del solito Bissanti copiata da una stampa oleografica, anche questa in sostituzione di un dipinto più antico. La navata si chiude con il delicato Altare dell’Angelo Custode, che a Saracena gode di un certo culto. Complesso eseguito da Eugenio e Carlo Cerchiaro nei primi anni del ‘700, mentre la mensa in pietra opera del Ciampa, discepolo di Gesùmaria, risale al 1735. A fianco sulla mensola sinistra è collocata la statua lignea settecentesca di S Antonio da Padova (proveniente, come la statua di S. Vito che si trova nel succorpo, dal distrutto Convento dei Cappuccini) e su quella di destra la statua in cartapesta del Guacci di Lecce, raffigurante S. Rocco. Nello stipo a fianco ha trovato posto una interessante esposizione delle reliquie della Chiesa.

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Convento dei Cappuccini

Convento dei Cappuccini La fondazione del convento dei cappuccini risale al 23 giugno 1588, data della presa di possesso del luogo. Il Vescovo di Cassano, Monsignore Carafa, affidò la costruzione a una commissione di religiosi. Il convento divenne importante, sede di noviziato e studi, ospitando anche il Beato Angelo d'Acri nel 1693. Nel 1811, a seguito della soppressione murattiana, i frati abbandonarono la struttura, ritornandovi dopo anni. Chiuso definitivamente nel 1915 per mancanza di frati, durante la Prima Guerra Mondiale fu utilizzato come prigione per soldati austriaci e tedeschi. Annessa al convento, circondato da mura, fu costruita una chiesa a navata unica, collegata alle residenze dei religiosi. Gli ambienti, semplici e piccoli, erano poco arredati. Il cortile interno, con porticato su un lato, era costruito su uno scavo per la raccolta dell'acqua piovana. Attualmente, pozzo e chiostro sono in stato di abbandono, come l'intero complesso. Il giardino retrostante, un tempo orto e poi cimitero, mostra ancora tracce di quest'ultimo utilizzo. Nel 1988, la Soprintendenza di Cosenza finanziò il consolidamento e la copertura della sola chiesa. Successivamente, grazie a offerte locali, fu riparato il tetto di una parte del convento. L'intero complesso necessita di un urgente e consistente finanziamento. Il convento si trova ai piedi del paese, raggiungibile a piedi dal centro storico attraverso la Portanova o da un sentiero che parte dalla piazza principale, attraversando il rione San Pietro.

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Grotte

La Grotta di San Michele Arcangelo (detta di Sant’Angelo) È un’ampia cavità carsica, che si apre, a 750 m. s.l.m. nella parete calcarea del versante destro del Fiume Garga, quasi di fronte al moderno abitato di Saracena. Si tratta di una collocazione strategica lungo un percorso naturale di comunicazione tra la piana di Sibari e il Tirreno, come indica la lunga durata della frequentazione nella grotta, che si estende ininterrottamente per quasi 5.000 anni: dal più antico Neolitico alla media età del Bronzo (Circa 6.000 – 1500 a.C.). La Grotta di Campanella, santuario di frontiera degli Achei di Sibari. È una piccola cavità di origine carsica con notevoli formazioni stalagmitiche che interessano alcuni tratti della grotta creando un ‘ambiente altamente suggestivo. La notevole quantità di reperti ceramici di importazione corinzia o di produzione coloniale disposti soprattutto lungo i margini di un focolare ha consentito agli archeologi di stabilire che la grotta venisse utilizzata tra il VI e il VII secolo a. C. per scopi cultuali. La Grotta Campanella è una piccola cavità di origine carsica situata nel territorio di Saracena, nel Parco Nazionale del Pollino. Questa grotta si estende per circa venti metri in lunghezza e due in larghezza, ed è facilmente accessibile attraverso un sentiero che parte nei pressi del santuario della Madonna della Fiumara. Studi archeologici indicano che la grotta fu utilizzata tra il VI e il VII secolo a.C. come santuario dagli Achei di Sibari, come attestano i reperti ceramici rinvenuti durante gli scavi. I Sentieri Del Pollino Citavetere, la città Enotria del 1.800 a.C. L’altura rocciosa di Citavetere con la sua posizione dominante sulla valle del fiume Garga si presenta come tipico insediamento di una comunità dell’età del Bronzo L'altura rocciosa di Citavetere, situata nel territorio di Saracena, è identificata come il sito dell'antica città enotria di Sestio, risalente alla prima età del Bronzo Medio (circa 1800/1700 a.C.). Le caratteristiche morfologiche di Citavetere, con la sua posizione dominante sulla valle del fiume Garga e le difese naturali costituite da versanti scoscesi, la rendono un tipico insediamento di sommità dell'età del Bronzo. Secondo alcune fonti storiche, l'antica Sestio fu conquistata dai Saraceni nel 900 d.C. e successivamente distrutta da un esercito imperiale di Costantinopoli. I superstiti fondarono un nuovo insediamento sull'opposta sponda del fiume Garga, dando origine all'attuale abitato di Saracena. La collina di Citavetere rappresenta quindi un importante sito archeologico che testimonia la presenza e lo sviluppo delle comunità enotrie nell'area durante l'età del Bronzo. (agrodisaracena.it fonte)

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Il Borgo di Saracena

I paesi del Parco – SARACENA Territorio Saracena è situata su una collina rocciosa che si sviluppa sul versante est della valle del fiume Garga ai piedi dei Monti di Orsomarso, questi ultimi appendice meridionale del Parco nazionale del Pollino. A pochi chilometri dal centro abitato, quasi di fronte ad esso, si trova la Grotta di San Michele Arcangelo detta comunemente Grotta di Sant’Angelo, un’ampia cavità carsica che si apre a 750 metri circa s.l.m. nella parete calcarea ad ovest del fiume Garga, abitata dal Neolitico antico fino alla media Età del bronzo.[3] Fra le altre risorse naturalistiche vanno annoverati il Monte Caramolo, che con i suoi 1.827 metri è il punto più alto del territorio, il Piano di Novacco, il Piano di Masistro, il Timpone Scifariello ed il laghetto di Tavolara. La superficie territoriale è di 111,51 km², con una densità di 37 ab/km². Il territorio risulta compreso fra i 92 ed i 1.827 m s.l.m., con un’escursione altimetrica complessiva pari a 1.735 metri, che rende tra l’altro particolarmente vario il patrimonio botanico e faunistico. Novacco Per quanto riguarda il clima di Saracena, è possibile citare lo storico Vincenzo Forestieri, il quale, nella seconda metà del XIX secolo, così lo descriveva: “[…] Il clima è temperato e salubre è l’aria. Che se poi nelle alture, sulla montagna, l’inverno è rigido, nel tempo estivo invece il caldo è mitigato dalle fresche aure delle stesse montagne”.[4] Storia Si vuole che Saracena discenda dall’antica Sestio, fondata dagli Enotri, come riferiscono Strabone, Stefano di Bisanzio e Padre Giovanni Fiore da Cropani, il quale, nella sua “Della Calabria illustrata”, così parla di Saracena: “Terra antichissima, è la medesima, che già fiorì col nome di Sestio, edificata dagli Enotri. […] Fu ella la sesta Terra edificata da Enotrio Arcade in Calabria, cinquecento sessanta anni prima della Guerra Troiana, e perciò fu denominata Sestio”. Strabone e Stefano di Bisanzio vengono citati entrambi dall’abate Giovan Battista Pacichelli nel suo “Il Regno di Napoli in prospettiva” (1703), dove, parlando di Saracena, dice: “Non può dubitarsi, che sia questa Terra l’antica Città di Sestio, numerata da Strabone, e da Stefano Bizanzio trà le molte altre degl’Enotrii…”. Pacichelli nella sua opera, pubblicata postuma, riporta anche i censimenti fiscali, e, per quanto riguarda Saracena, aggiunge: “Stà numerata detta Terra per fuochi trecento settanta trè, ripiena di Nobili, e ricchi Abitanti, & ornata con molte fabriche cospicue di Palaggi, e di Chiese, frà le quali ve ne sono tre Parrocchiali…”. Secondo i calcoli del suddetto Padre Fiore, Sestio sarebbe stata fondata nell’anno della Creazione 2256 (1744 a.C.[5]), e nel 900 circa dell’era cristiana venne conquistata dai Saraceni, i quali vi stabilirono una loro colonia.[6] Successivamente, sempre secondo il Fiore, l’esercito imperiale di Costantinopoli assalì e distrusse la città, mettendo in fuga i pochi superstiti guidati da una donna ignuda e scapigliata avvolta in un lenzuolo. Il ricordo di questa leggenda è raffigurato in un antico affresco visibile sul frontespizio della cappella di S. Antonio e su un polittico cinquecentesco conservato nella sacrestia della chiesa di S. Maria del Gamio, ed inoltre nel timbro 1 e nel gonfalone di Saracena, sul quale viene ritratta una donna che fugge, avvolta in un lenzuolo, con intorno la scritta: “Universitas terrae Saracinae”. Ricostruita la città, in un sito poco distante (quello attuale) e più difendibile da improvvisi attacchi esterni, ha inizio il periodo bizantino, le cui prime influenze culturali e sociali possono essere fatte risalire all’ottavo secolo con l’azione del monachesimo greco, inserito nel più vasto fenomeno delle esperienze monastiche del Mercurion. Nel X secolo l’amministrazione bizantina creerà il Catepanato d’Italia, che includeva l’intero territorio della Calabria. 2 Sviluppi e dominazioni Il nuovo paese, sorto intorno al castello baronale, cinto di mura (ormai distrutte o inglobate nei muri delle abitazioni) e fortificato con quattro porte (Porta del Vaglio, Porta S. Pietro, Porta Nuova e Porta dello Scarano), con l’arrivo dei Normanni, avvenuto nella seconda metà dell’XI secolo, diventò dominio feudale. In quest’epoca, cioè a cavallo tra i secoli XI e XII, è probabile altresì che cominci ad essere utilizzato il nuovo nome del borgo, il cui sviluppo urbanistico e demografico è tale da farlo figurare, nel 1275, al quarto posto per popolazione nella diocesi di Cassano, 1 con 3.585 abitanti.[7] Nel XIV secolo il toponimo con il quale veniva indicata la località era Castrum Sarracene, mentre all’inizio del 1500 il luogo era conosciuto come alla Saracena.[8] 2 Il Feudo di Saracena appartenne inizialmente ai Duchi di S. Marco e ad altri feudatari, tra i quali Guglielmo Pallotta e Filippo Sangineto di Altomonte, quindi, a partire dalla seconda metà del XIV secolo, alla casata dei Sanseverino, dapprima come conti e duchi e in seguito con il rango di Principi di Bisignano, che lo conservarono per più di duecento anni. Verso la fine dell’anno 1600 fu acquistato all’asta pubblica, per 45.000 ducati, dai Gaetani d’Aragona, duchi di Laurenzana, i quali, nel 1613, lo cedettero ai Signori Pescara di Diano. Con regio assenso del 26 marzo 1718, e per 102.000 ducati, il Feudo di Saracena passò a Francesco Maria Spinelli, 8º Principe di Scalea.[9] 3 Il dominio degli Spinelli, come baroni della città, durò fino al 1806, anno in cui, per volere di Napoleone Bonaparte, fu emanata la legge eversiva della feudalità, con la quale questa veniva abolita. 4 Certo, ecco il testo senza la parola "comune": Saracena in una riproduzione di G. B. Pacichelli (XVII sec.). In alto a sinistra è visibile uno stemma con gli emblemi dei Pescara di Diano e degli Aragona Nel corso del Risorgimento, Saracena, pur essendo una piccola comunità, fu molto attiva sul fronte patriottico ed antiborbonico. In paese era infatti esistente una sezione della Giovine Italia, denominata “Chiesa del Garga”. Ne facevano parte Stanislao Lamenza, Gaetano De Paola, Leone Forestieri, Antonio Prioli, Francesco Pompilio e Leone Ricca. Antonio Prioli, condannato a sette anni di ferri per motivi politici, morì in carcere il 29 aprile 1855. La sua figura venne ricordata da Luigi Settembrini nell’opera postuma Ricordanze della mia vita. Stanislao Lamenza, dopo aver trascorso diversi anni in prigione per causa politica, partecipò alla Spedizione dei Mille e perse la vita a Palermo, combattendo, con il grado di maggiore, contro i soldati del Regno delle Due Sicilie. Leone Ricca, dopo aver a sua volta scontato un periodo di condanna “ai ferri nei bagni” per reati politici, si impegnò nell’allestimento della Guardia Nazionale. Nel 1863 gli venne conferita, in qualità di Capitano nei Volontari dell’Italia Meridionale, la Medaglia in Argento al valor militare, per il “valore dimostrato il primo Ottobre 1860 sotto Capua”. Di Leone Ricca rimane anche una interessante corrispondenza epistolare intercorsa con Giuseppe Garibaldi.[10] Il figlio di Leone Ricca, Giovan Battista, ricevette a sua volta una medaglia come combattente nella guerra del 1866 contro gli Austriaci. Nei primi anni del nuovo millennio Saracena è stata insignita del titolo di “Città garibaldina”. Monumenti e luoghi d’interesse Pinacoteca Andrea Alfano La pinacoteca di Saracena, ubicata nei locali dello storico Palazzo Mastromarchi, è intitolata al pittore e poeta Andrea Alfano (1879-1967).[11] Contiene al suo interno una collezione di oltre 230 tra dipinti, disegni e sculture di artisti italiani e stranieri. L’ambito della raccolta è il Novecento. La costituzione della pinacoteca, inaugurata il 1º maggio del 1985 congiuntamente alla Biblioteca, era stata resa possibile dalla donazione fatta dai superstiti soci fondatori dell’Associazione Artistico-Culturale “Sestium”, attiva a Saracena dal 1952 fino alla metà circa degli anni Settanta. Il patrimonio della pinacoteca comprende opere di: Renato Guttuso, Domenico Purificato, Giovanni Omiccioli, Sante Monachesi, Guglielmo Sansoni, Franco Iurlo, Ugo Attardi, Eliano Fantuzzi, Giovanni Consolazione, Antonio Vangelli, Giulio Turcato, Ernesto Treccani, Ortensio Gionfra, Enotrio Pugliese, Carlo Acciari, Pericle Fazzini, Andrea Alfano, Luigi Montanarini, Ilia Peikov, Giuseppe Ragogna, Mimmo Sancineto, Leila Lazzaro, Lello M. Barresi, Valery Escalar, Irene Paceviciute, Leonardo De Magistris, Helene Zelezny-Scholz, Emilio Greco ed altri. Il patrimonio iniziale, ampliatosi nel corso degli anni, era formato da 75 opere. In occasione dell’inaugurazione il relatore prof. Aldo Maria Morace, riferendosi al numero delle opere e alla notorietà dei nomi presenti nella collezione, aveva definito l’evento un “miracolo all’italiana”.[12] Museo di Arte Sacra Il Museo di Arte Sacra, inaugurato il 30 aprile 1993, si trova all’interno della Chiesa di Santa Maria del Gamio, in centro storico. Contiene dipinti, arredi in argento e rame dorato, busti reliquiari, paramenti liturgici e documenti d’archivio. La raccolta abbraccia i secoli XVI-XIX. Tra le opere si segnalano: un tronetto per l’esposizione eucaristica di scuola napoletana; due grandi ostensorii eseguiti dall’argentiere Salvatore Vecchio nel 1753; una croce processionale della metà del ‘600; il dipinto raffigurante la Madonna della Purità realizzato su una lastra di metallo tra il XVII e il XVIII secolo. Chiesa di San Leone La chiesa di S. Leone, della quale non si conosce con esattezza l’epoca della costruzione (probabilmente tra il X e l’XI secolo), venne edificata sui resti di una chiesa a croce greca iscritta in un quadrato, e quindi di culto bizantino. Ugualmente incerto è il momento in cui il rito bizantino venne sostituito dal rito latino. La chiesa, inizialmente dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, fu consacrata a San Leone, detto il Taumaturgo, nel 1224 da Guglielmo, vescovo di Bisignano. È la più ampia fra le chiese di Saracena. La sua tipologia è ascrivibile al periodo romanico maturo ed al primo gotico calabrese. Di questo periodo rimane il campanile a pianta esagonale con trifore romaniche. Venne ritoccata nel ‘600 e nel ‘700. L’esterno è caratterizzato dal bel portale cinquecentesco posto nel prospetto principale, fatto eseguire dai Principi Sanseverino. Dello stesso secolo è il portale laterale, scolpito in pietra calcarea da scalpellini locali. L’interno, rimaneggiato, è in stile barocco e diviso in tre navate. Sulla volta della navata centrale vi sono degli affreschi che raffigurano quattro episodi del Vecchio Testamento, quali 1) il Sacrificio di Abramo, 2) Giuditta e Oloferne, 3) il Buon Pastore e 4) l’Incoronazione della Vergine Maria. L’interno ospita varie opere d’arte di notevole interesse e pregio artistico, tra cui statue di marmo, statue e sculture in legno, dipinti, busti reliquiari, calici argentei, ostensorii, pianete, piviali. Lungo la navata di sinistra sono presenti quattro cappelle, dedicate, rispettivamente, a: San Leone, la Vergine Santissima Addolorata, la Vergine Santissima del Rosario, la Madonna delle Grazie. Chiesa di Santa Maria del Gamio Chiesa di S. Maria del Gamio La chiesa di S. Maria del Gamio (dal greco “delle nozze”, con probabile riferimento a quelle di Cana) è una costruzione di origine bizantina, ed è tra le più antiche chiese dell’area del Parco nazionale del Pollino. Non si conosce l’anno esatto della sua fondazione, collocabile, tuttavia, tra i secoli X e XI. Dall’analisi di alcuni antichi frammenti di pergamena si può dedurre che il rito bizantino sia rimasto in uso fino al 1568, anno della consacrazione della chiesa al rito latino.[13] Nel corso del Sei-Settecento la chiesa subì dei rimaneggiamenti, e nella seconda metà del XIX secolo, per volere del suo procuratore D. Alessandro Mastromarchi, l’edificio venne allungato nella pianta con la creazione di una nuova facciata in stile neo-palladiano (1870-1874). Anche il campanile è stato rifatto totalmente tra il 1882 e il 1884. Alla chiesa si accede da un cancello in ferro, costruito, e collocato sul luogo, nella seconda metà del XIX secolo. Oltrepassato il cancello ci si immette in uno spiazzo, restaurato nel 1997. Davanti al cancello ci sono due porte, una delle quali utilizzata come ingresso della chiesa. La porta più antica venne costruita da un certo Giovanni La Bollita di Altomonte all’inizio del 1600, con stucchi esterni realizzati da Pascale Morello nel 1757-58, mentre l’altra porta fu lì collocata nel 1872 in seguito ai lavori di allungamento dell’edificio. L’interno della chiesa, ricco di opere d’arte, è a tre navate. La navata centrale si presenta con un maestoso soffitto a cassettoni lignei intagliati e indorati, opera degli artigiani Jacono Lanfusa e Vincenzo de Untiis che la realizzarono tra il 1619 e il 1628. Ulteriori lavori di decorazione al soffitto vennero eseguiti nel 1787-88, oltre (negli stessi anni) ad interventi rivolti a proteggerlo da infiltrazioni d’acqua e di polvere. L’unica cappella della chiesa è dedicata a S. Innocenzo Martire, protettore della parrocchia. La statua di Sant’Innocenzo venne acquistata a Napoli nel 1831, e posta su un altare marmoreo costruito nel 1772 dall’artista napoletano Marino Palmieri sul quale era in precedenza collocata la statua della Madonna della Natività, poi traslata nell’altare maggiore. Nella sacrestia è conservato un bel polittico su tavola della metà del Cinquecento, tra le cui raffigurazioni spiccano San Biagio e San Francesco di Paola. Alla base della struttura, sotto due colonne, sono posti gli stemmi dei Sanseverino, signori di Saracena, e della città. Di notevole interesse è anche il pancone sottostante, di bottega artigiana locale, risalente alla metà del XVII secolo. Attiguo alla sacrestia si trova il Museo di Arte Sacra. Chiesa di Santa Maria delle Armi Nel quartiere più antico di Saracena sorge la chiesa di S. Maria delle Armi, un tempo parrocchiale e dal 1812 dipendenza del Gamio, le cui prime notizie si trovano in un documento della seconda metà dell’XI secolo nel quale vengono citate le chiese dipendenti dalla Abbazia di Banzi, e, tra queste, vi è S. Maria in Armis. Madonna allattante (XV-XVI sec.) Sulla porta d’ingresso della chiesa, posta sul lato lungo della stessa, è custodita una piccola statua in alabastro – parzialmente deteriorata – raffigurante la Vergine col Bambino. La datazione di questa scultura è incerta. L’interno della chiesa è a tre navate. Tra le opere d’arte presenti si segnalano, fra le altre: una tela sull’altare maggiore raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, di autore ignoto (XVII secolo); la balaustra dell’altare, con le sue figure antropomorfe e i medaglioni decorativi (XVIII secolo); il pulpito in legno con decorazioni rinascimentali (XVI secolo); il confessionale, realizzato dalla prestigiosa bottega di ebanisteria dei Fusco di Morano Calabro (XVIII secolo). Nella navata centrale si può inoltre ammirare un affresco di Madonna col Bambino (Madonna allattante) di autore ignoto, databile XV-XVI secolo o forse prima, una delle più belle opere d’arte conservate a Saracena. Nella seconda metà del XIX secolo la chiesa ha subìto un intervento di restauro con ampliamento. Convento dei Cappuccini Cappelle Nel territorio di Saracena, oltre alle tre chiese, esistono numerose cappelle, alcune delle quali di origine bizantina. Le principali sono: S. Maria dell’Alto Cielo o Ara Coeli (XII secolo, è ubicata nel rione S. Pietro), S. Antonio di Padova (XVI secolo), S. Maria di Costantinopoli (edificata intorno al 1650, si trova in Via della Fiumara), S. Anna (XVII secolo), S. Maria del Garga o Madonna della Fiumara (1874). Poco distante da quest’ultima cappella si trovano i ruderi della Chiesa di S. Maria de Garga o Ad Flumen, risalente alla seconda metà dell’XI secolo. All’inizio del 1600 la chiesa venne ingrandita ed aggregata al Monastero di Colloreto, per essere poi abbandonata due secoli dopo in seguito alla soppressione degli ordini religiosi.

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Museo Arte Sacra

Ubicato nel locale attiguo alla sacrestia. Ma già in questa si può ammirare, su un pancone del XVII secolo, un cinquecentesco Polittico. Purtroppo manca la formella centrale, e nelle formelle laterali sono raffigurate: l’Angelo che annuncia a Maria, S. Biagio e S. Francesco da Paola, l’Adorazione dei Magi e la Decapitazione di S. Giovanni Battista. Alla base delle colonnine lo stemma dei Sanseverino, signori di Saracena, e lo stemma di Saracena. La porta dirimpetto immette nella Sala del Museo, il tesoro vero e proprio della Chiesa, costituito da preziosi argenti tra i quali fa spicco un maestoso Tronetto per l’esposizione del Santissimo, con relativo Ostensorio, eseguito dall’argentiere, forse di Cassano Jonio, Salvatore Vecchio nel 1746 su commissione del procuratore D. Domenico Mastromarchi. Notevole è la Croce processionale in lamine d’argento, attribuibile alla metà del ‘600 e forse alla bottega castrovillarese dei Conte, che mostra sul rovescio una graziosa figura di S. Innocenzo. La raccolta è completa da un Turibolo per l’incenso donato dal cappellano D. Daniele Celio nel 1692 e da diversi altri arredi in argento e in rame dorato, dovuti ad argentieri napoletani e locali dei secoli XVII, XVIII e XIX. Un cenno a parte merita il dipinto raffigurante la Madonna della Purità realizzato su una lastra di metallo tra il XVII e il XVIII secolo. Interessanti sono anche i Busti reliquiari del XVII e XVIII secolo, in legno in oro damaschinato, le tele (sec. XVI-XIX), i paramenti liturgici (XVII-XVIII secolo). Nella stanza a fianco sono in mostra importanti documenti d’archivio (riconosciuto di notevole interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica), fra cui il manoscritto della Monografia storica di Saracena del Forestieri. Pubblicazioni: Gianluigi Trombetti, Le chiese di Santa Maria del Gamio e delle Armi in Saracena - “Itinerari storico artistico” - Edizione “Il Coscile”, Castrovillari (Cs), 1993. Sac. Leone Boniface, La Chiesa di S. Maria del Gamio in Saracena, Castrovillari, 2000

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Pinacoteca

La Pinacoteca “Andrea Alfano” di Saracena Quando, il I maggio 1985, venne inaugurata a Saracena la pinacoteca intitolata al grande pittore castrovillarese Andrea Alfano, il relatore ufficiale, prof.Aldo Maria Morace, allora dell’Università di Messina, disse testualmente: “... l’iniziativa di Saracena segna un’inversione di rotta, riassume e riverbera la volontà di riscatto di un’intera regione... i disegni, le pitture, le sculture che, con caparbia volontà, Saracena ha raccolto nella pinacoteca oggi inaugurata, rappresenta una nuova, rinvigorente forma di “miracolo all’italiana”, nel senso della capacità di inventare, di affermare la vita là dove essa sembrerebbe vietata, di sconfiggere una condanna là dove essa sembrerebbe inevitabile... Saracena non si è rassegnata alla colpevolezza dello Stato nei confronti del problema, annoso, rappresentato dal decentramento e dalla distribuzione capillare del patrimonio culturale ed artistico: ha fatto da sé, con stupefacente senso d’iniziativa, con acuminata volontà di adeguare i mezzi usati alle possibilità, riuscendo – grazie soprattutto alla generosità degli artisti presenti nella pinacoteca – a raccogliere un patrimonio di opere assolutamente inusuale, e direi proibito, per un luogo che non può disporre, per questa voce di bilancio, senon di irrisorie risorse. Ed è un patrimonio – voglio sottolinearlo – che, per quanto riguarda il Novecento, non ha riscontri né confronti con quello di cui si sono dotati i tre capoluoghi calabresi”. La costituzione della pinacoteca era stata resa possibile per la donazione fatta dai superstiti soci fondatori dell’Associazione Culturale “Sestium” che aveva proficuamente operato negli anni Cinquanta. Il patrimonio consisteva in 70 quadri dei più noti maestri contemporanei, quali Guttuso, Purificato,Omiccioli, Monachesi, Tato, Attardi, Fantuzzi,Gionfra, Consolazione, Vangelli, Turcato, Pericle Fazzini, Enotrio Pugliese, Andrea Alfano, Montanarini, Ragogna, ecc. e 5 sculture, tra cui una superba “Testa muliebre” di Emilio Greco. Negli anni successivi, sotto l’impulso del suo direttore e di un gruppo di amici artisti, , la pinacoteca si arricchì di nuove donazioni, tanto che il suo patrimonio raggiunse il ragguardevole numero di 236, tra tele e disegni, e 23 sculture. Tra le nuove firme, ricordiamo, tra gli altri: Philip Raa: Volto di fanciullaCarlo Acciari, Lello M. Barresi, Pino Caccamo, Nora Carella, Elsa Cattani, Salvatore Colantuoni, David Grazioso, Leonardo De Magistris, Amleto D’Ottavi, Valery Escalar, Carmelo Fodaro, Francesco Guerrieri, Ernesto Lombardo, Carlo Lorenzetti, Roberto Marchionne, Lillo Messina, Franco Mulas, VittorioParadisi, Luigi Passeri, Marco Rossati, Luigi Russo, Piero Sbano, Nunzio Solendo, Armando Stefanucci, Nino Suriano, Lino Tardia, Mario Tornello, Ernesto Treccani, Aldo Turchiaro, Gianni Turina, Umberto Verdirosi. Tra gli scultori: Alessandrini, Bruscaglia, Bucci, Cangini, Chiaramonte, Consolazione, Falciano, Fianchini, Graziotti, Emilio Greco, Lorenzetti, Meloni, Montrone, Mori, Niglia, Nuhìu, Paladino, Ronzoni, Scholtz, Signoretti, Tentarella, Verdini. Le opere giungevano gratuitamente, da tutta Italia, da artisti orgogliosi di entrare a far parte della orma “famosa” pinacoteca di Saracena, ma contemporaneamente iniziarono le difficoltà, in quanto, i locali a disposizione non erano più idonei a contenere quell’immenso patrimonio artistico.

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