Chiesa di Santa Maria del Gamio

Certo, ecco il testo senza la parola "comune":

Chiusa in un intrico di vicoletti e scalinate, dove si affacciano i più antichi palazzi della nobiltà cittadina quali quelli delle famiglie Spinelli, con le sue notevoli decorazioni rinascimentali, dei Forestieri e dei Mastromarchi, si eleva l’antica Chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine Maria sotto il titolo del Gamio - dal greco = nozze - riferentesi senza dubbio a quelle di Cana, che erano raffigurate anche in un dipinto, che dominava l’Altare Maggiore poi andato disperso. Come chiaramente si deduce dal titolo, la sua costruzione affonda lontano nel tempo le sue origini quando queste contrade erano abitate o, quantomeno, influenzate da Bizantini, al cui rito la Chiesa appartenne, sembra, fino al 1568, e alle cui maestranze si dovrebbero riferire quelle figure di Santi con iscrizioni in greco che, secondo antiche cronache, erano affrescati sulla facciata, distrutta nel secolo scorso quando tra il 1870 e il 1874, su disegni di un certo Giuseppe Ruffo di Catanzaro, l’edificio venne allungato nella pianta con la creazione di una nuova facciata in stile neo-palladiano. Anche il Campanile venne rifatto totalmente a partire dal 1882 e ricoperto con una cuspide decorata da mattonelle disposte a squame di pesce verdi e gialle di chiare reminiscenze campane.

Si accede alla Chiesa da una delle due porte laterali decorata da antichi battenti lavorati nel 1612 da Giovanni Labollita e ci si immette subito nella navata centrale che, sebbene non ampia, mostra una certa solennità dominata come appare dal sontuoso soffitto a cassettoni lignei intagliati e iniziati ad indorare dall’artigiano Jacono Lanfusa nel 1618 e proseguiti nell’indoratura da Gio:Vincenzo de Untiis nel 1628. La decorazione pittorica con serti di fresche rose si deve invece a Genesio Galtieri di Mormanno e all’anno 1787. Sulla porta maggiore è sistemato un buon organo (purtroppo non funzionante) comprato verso il 1650 con più tarde decorazioni pittoriche affidate nel 1753 ad un non meglio conosciuto Felice Spina. La navata sinistra si apre con l’altare dell’antica confraternita di S. Leonardo, in legno intagliato, dipinto e dorato, datato 1662, che racchiude al centro una tela del Santo dipinta da Giocondo Bissanti sullo scadere del secolo scorso, in sostituzione di una più antica rappresentazione su tavola documentata in carte del ricchissimo archivio della Chiesa. La mensa di questo altare come quelle di tutti gli altri sono in marmo e si devono all’opera del sacerdote D. Alessandro Mastromarchi (1883-1893). Sulla volta in riquadri decorati da stucchi si susseguono dei dipinti raffiguranti fatti dell’Antico Testamento ( recentemente restaurati) dovuti a pittori diversi tra i quali Nicola de Qliva ed il saracenaro Francesco Viola attivi tra la seconda metà del ‘700 e i primi del secolo seguente. Nell’ordine sono raffigurati il Roveto ardente, Il serpente di bronzo, la Consegna delle Tavole, Tobia e l’Angelo. Seguono l’altare dedicato al Cuore Divino di Gesù, databile alla fine del secolo scorso, e quello di S. Stefano Protomartire, già appartenente alla famiglia Clemente prima e a quella Mazziotti dopo, con tela rappresentante il Martirio del Santo, datata nel 1794 e completamente ridipinta dal Bissanti, pittore e fotografo napoletano, al quale si commissionò alla fine dell’Ottocento e con una certa leggerezza il restauro o il rinnovo totale di quasi tutti i dipinti della Chiesa. A metà della navata si apre la Cappella di S. Innocenzo Martire con notevole altare in marmi policromi costruito nel 1772 da Marino Palmieri. Tale altare in origine ospitava la bella statua della Vergine, oggi posta sull’Altare Maggiore. Al suo posto venne collocata nel 1831 la statua lignea di S. Innocenzo, di bottega napoletana. Lo sportello del ciborio (ora nella sala del Museo) mostra dipinto un delicato Gesù Infante che risente, purtroppo, dei pesanti ritocchi del Bissanti. Interessanti sono i due confessionili che si devono all’arte dei Fusco. Oltrepassata la porta della sagrestia si incontra l’Altare della Madonna del Carmine ornata da stucchi elaborati nel 1791. Il dipinto al centro raffigura la Madonna del Carmine tra i Santi Giacomo e Carlo Borromeo, opera del solito Bissanti copiata da una stampa oleografica, anche questa in sostituzione di un dipinto più antico. La navata si chiude con il delicato Altare dell’Angelo Custode, che a Saracena gode di un certo culto. Complesso eseguito da Eugenio e Carlo Cerchiaro nei primi anni del ‘700, mentre la mensa in pietra opera del Ciampa, discepolo di Gesùmaria, risale al 1735. A fianco sulla mensola sinistra è collocata la statua lignea settecentesca di S Antonio da Padova (proveniente, come la statua di S. Vito che si trova nel succorpo, dal distrutto Convento dei Cappuccini) e su quella di destra la statua in cartapesta del Guacci di Lecce, raffigurante S. Rocco. Nello stipo a fianco ha trovato posto una interessante esposizione delle reliquie della Chiesa.